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6° Censimento Generale dell’Agricoltura a Taurisano (Nov. 2010 – Feb. 2011)

6° CENSIMENTO GENERALE DELL’AGRICOLTURA ISTAT

Riflessioni su un’Agricoltura in affanno

Analisi generale dello stato di salute dell’Agricoltura taurisanese

6° Censimento Generale dell’Agricoltura

Cos’è il Censimento dell’agricoltura? Il Censimento generale dell’Agricoltura , arrivato alla sesta edizione, è rivolto alle aziende agricole italiane. Il campo di osservazione è limitato ai conduttori di azienda che possiedono terreni agricoli superiori alle 20 are, terreni destinati a diventare aree fabbricabili ed aziende zootecniche con allevamenti di medie dimensioni o comunque non destinati al solo consumo familiare. La rilevazione ha avuto luogo nella nostra Città a partire da Novembre 2010 fino al 31 Gennaio 2011. Il questionario ISTAT, i cui dati saranno utilizzati come punto di riferimento delle future politiche agricole comunitarie, composto da 55 domande mi ha aiutato, in qualità di rilevatore  statistico, a compilare un quadro non del tutto edificante dello stato dell’Agricoltura nel nostro Comune.

 

Modalità di osservazione

La rilevazione statistica è stata affidata ai rilevatori statistici agricoli preparati dalla Regione Puglia  incaricati di intervistare ogni conduttore agricolo presente nella lista precensuaria redatta dall’ISTAT e contenente i nominativi di tutti coloro che rientrano nel campo di osservazione del censimento. I rilevatori statistici sono stato coordinati dal Comune di Taurisano grazie ai coordinatori agricoli a cui ciascun rilevatore ha consegnato i questionari compilati. La mole di dati raccolta aiuterà l’ISTAT a ricomporre il quadro dello stato di salute dell’agricoltura nazionale a cui le future politiche di tipo nazionale e comunitario si atterranno per tentare di risollevare una situazione, per certi versi, drammatica.

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Considerazioni personali

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Tesi: abbandono e degrado di una agricoltura in affanno. Elencazione dei contro:
1.       Eccessiva frammentazione;
2.       Aziende agricole in difficoltà a coprire i costi;
3.       Aziende agricole non più disposte a proseguire con l’attività agricola;
4.       Prezzo dell’olio sul mercato a prezzi troppo elevati e scarsamente competitivi;
5.       Prezzo delle olive a livelli inaccettabili;
6.       Mancanza di un’istituzione regionale per i diritti degli agricoltori;
7.       Scarsa diffusione della cultura per la produzione di qualità e della certificazione dei prodotti;
8.       Tendenza sempre maggiore all’abbandono dei terreni agricoli;
9.       Tendenza a sostituire flora e fauna con impianti di produzione di energia rinnovabile;
10.   Aumento vertiginoso negli ultimi anni dei terreni in vendita (il fenomeno della migrazione campagna – città della popolazione rurale è endemicamente periodico o succede perché le misure adottate a sostegno dell’attività agricola non bastano mai?);
11.   Integrazione degli oliveti quale unica misura a sostegno del 98% delle aziende agricole, lato positivo; lato negativo (parassitismo);
12.   Aumento delle richieste salariali operaie, aumento delle spese per l’attrezzatura agricola, drastica diminuzione  dei guadagni, competitività del made in italy agricolo pari a 0.

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Le interviste hanno dimostrato come parlare di “azienda” sia in parte fuorviante. L’idea che si ha di azienda agricola è spesso di un’impresa o un’organizzazione di uomini e mezzi che fa della propria attività in agricoltura una fonte di guadagno. La maggior parte delle aziende taurisanesi non presentavano nessuna delle caratteristiche che fanno di un’azienda un’organizzazione a scopo di lucro economico. Non si è riscontrata la presenza di un vero e proprio guadagno derivante dalla vendita di prodotti agricoli al consumatore o a consorzi agricoli, né le aziende (almeno il 95% di esse) presentavano metodi e sistemi di produzione che definiremmo di “sfruttamento intensivo” del terreno. In altre parole trattandosi per lo più di consumo familiare del prodotto, in assenza di metodi moderni di raccolta e lavorazione del prodotto stesso nel nostro territorio, la maggior parte delle imprese è a conduzione familiare, di modestissime dimensioni, estremamente frammentata in minuscole unità e atte alla raccolta del prodotto solo a scopi di autoconsumo.  Poca traccia di mercato dei prodotti agricoli, dell’olio, dei seminativi (ortive, pomodori, ecc.) e del vino, segno di un settore in crisi che ha bisogno di una scossa per poter ripartire. La stragrande maggioranza delle aziende intervistate fonda la propria economia sulla produzione di olio di oliva, un po’ per convenienza economia, un po’ per retaggio culturale. E’ necessario quindi restringere l’analisi soprattutto agli oliveti, tipologia di coltivazione dominante nel nostro Comune.

Prezzo medio olio di oliva, dicembre 2010.

Ivi il quadro è ancor più desolante, se si considera che nessuna delle aziende agricole intervistate (e qui la percentuale del 95% tocca punte del 99%) ha dichiarato di essere riuscita a coprire le spese sostenute durante l’annata agraria 2009-2010 (annata di riferimento del censimento ISTAT) presentando una bilancia commerciale del tutto negativa. La maggior parte dei conduttori intervistati ha espresso chiaramente l’intenzione di abbandonare i terreni nell’immediato o in un futuro prossimo. Allo stato attuale delle cose nessuno è in grado di ottimizzare la propria produzione ed ammodernare le proprie tecniche; in ragione di ciò il settore è in fase di stallo con un futuro ancora più cupo se si pensa che altri settori, una volta trainanti, quale industria e terziario, sono sostanzialmente fermi per colpa della crisi mondiale. All’aumento del costo della manodopera agricola, cui fa da pendant il costo elevato dei contributi  previdenziali superiore del 43% rispetto agli altri Paesi europei (fonte EUROSTAT), si affianca una più pesante pressione fiscale che incide sui redditi in una maniera soffocante tanto da rendere impossibile qualsivoglia spesa di gestione del fondo agricolo senza rimettere di tasca propria. Il mercato mondiale non dà di certo una mano agli agricoltori taurisanesi. Molti di essi lamentano l’eccessivo costo dell’olio di oliva salentino rendendolo poco appetibile sul mercato mondiale (2,83 € al kg per l’extravergine, vd. tabella sopra) ed il deprezzamento delle olive “lasciate al frantoio” (12 – 15 € al quintale). Quale conseguenza di ciò, nell’annata agraria di riferimento, si è registrato una perdita di quote di mercato mondiale dell’olio di oliva in confronto con il nostro primo concorrente europeo, la Spagna. I motivi sono da ricercare essenzialmente:

  • nella mancanza di una politica in grado di incentivare il concerto tra le varie imprese olivicole, tra sindacati di settore e i Ministeri Attività Produttive e Agricoltura;
  • nell’assenza di meccanizzazione nella raccolta dei prodotti agricoli;
  • nell’assenza di una campagna promozionale portata in avanti unitariamente da agricoltori ed industriali e più in generale disinteresse del governo nazionale per l’agricoltura;
  • nella riduzione dell’offerta di olio italiano sul mercato: si pianta di meno, si produce di meno in confronto ad altri paesi europei ed extraeuropei (Spagna, Tunisia, Cile, Siria, Libano, Marocco, Argentina);
  • nell’impossibilità di competere con paesi emergenti che inquinano il mercato con un prodotto di pessima qualità a costi di produzione decisamente inferiori ai nostri.
 

Prezzi olio piazze spagnole. (anno 2010 - dicembre)*

 

 

 

 

 

 

 

 

 


*    fonte: www.ismea.it

L’impossibilità di sostenere i costi ha portato molti ad abbandonare il prodotto agricolo. L’annata agraria non è stata positiva dal punto di vista della qualità dell’olio considerata l’elevata acidità del prodotto, di conseguenza andare in campagna risulta una fatica inutile e scarsamente conveniente. Come dar torto ad agricoltori spremuti fino all’osso e completamente abbandonati a se stessi? Da qui l’incremento del numero dei terreni in vendita o impiegati per la produzione di energia rinnovabile a chiaro danno del nostro prezioso ecosistema naturale. Molti olivicoltori taurisanesi continuano a mantenere un livello di produzione minimo perché percepiscono l’integrazione dell’olio di oliva: un piccolo aiuto economico che premia il conduttore a seconda del numero di piante posseduto. Costituendo unica fonte di guadagno per la maggior parte delle aziende, l’integrazione si configura come l’elemento trainante dell’olivicoltura salentina. Per quanto riguarda l’abuso nella costruzione degli impianti di energia rinnovabile, il fenomeno fortunatamente è stato in parte bloccato dalla Corte Costituzionale (sent. n. 119/210). Avendo a cuore il pregio del nostro territorio e per ragioni più squisitamente giuridiche, essa aveva dichiarato incostituzionale la legge regionale n. 31/’08 nella parte in cui prevedeva che bastasse una semplice autocertificazione  per avviare la costruzione di impianti a energia rinnovabile con limiti di produzione inferiore ad 1 MegaWatt. La legge regionale citata, di fatto, consentiva a tutti di costruire impianti, anche in zone agricole, senza tener conto dell’impatto ambientale e senza dover attendere il parere alle istituzioni preposte alla salvaguardia del nostro patrimonio paesaggistico e ambientale. L’intervento della Corte è stato decisivo, ma per quanto ancora tale freno reggerà, in considerazione del fatto che la legge deve necessariamente tener conto dell’evoluzione dei costumi della società, adattandosi ad essi per non incorrere il rischio di diventare anacronistica? Non sarebbe il caso di porre un limite a tale scempio, provando a risolvere le cause che lo hanno generato?

Impianto fotovoltaico visto dall'alto. Impatto ambientale pari a 0?


Lo stato di povertà delle nostre campagne è dimostrato anche dal fatto che ciascuna “azienda” agricola (mi si permetta di abusare ancora di tale termine) è per lo più a conduzione familiare, la cui attività di raccolta del prodotto e successiva lavorazione è effettuata solo per soddisfare il fabbisogno familiare: la vendita del prodotto agricolo al consumatore o alle altre imprese agricole e commerciali è quasi inesistente. Dal punto di vista commerciale le nostre aziende sono troppo piccole per reggere la concorrenza del mercato e, ironia della sorte, quelle poche che riescono a vendere hanno vita breve, stritolate da tasse sempre più vessatorie. Anche se si guarda alla manodopera impiegata, cui il questionario rivolto alle aziende dedica un’intera sezione, rimane la constatazione che è tutta produzione familiare con il conduttore che, nella maggior parte dei casi, si occupa del proprio terreno a tempo perso.
Il questionario ISTAT ha dimostrato, nelle 200 interviste svolte dal sottoscritto, che non esiste agricoltura di qualità DOP e IGT a testimonianza del fatto che il nostro olio non è ancora accompagnato da certificazione di qualità e quindi non è presente una strategia di marketing adeguata per piazzare il nostro prodotto sul mercato di consumo.  Il riconoscimento della DOP “Terra d’Otranto” per le produzioni olearie non ha portato ad un significativo cambiamento. Rimane almeno un’elevata presenza dell’agricoltura certificata di qualità nel settore della vitivinicoltura: peccato che malattie della vite ed annate agrarie sfortunate lo abbiano messo un settore che soffre la concorrenza dei vitigni francesi.

Conclusioni

Agli occhi dell’autore di questo articolo l’agricoltura è sembrata quasi un malato in agonia che ha urgente bisogno di una cura per sopravvivere. Quello che più dovrebbe farci riflettere è che ci facciamo in quattro per cantare l’amore per il nostro Salento, ma non riusciamo ancora a tradurre ciò nel rispetto dell’ambiente e delle attività connesse quale lo è l’agricoltura. La crisi mondiale ha messo in ginocchio tutte le piccole e medie imprese ed è ancora lungi dall’arrivare ad una fine. Le imprese agricole hanno subito maggiormente gli effetti nefasti perché non si sono mai attrezzate di anticorpi, preferendo rimanere chiusi e fermi ai tradizionali metodi di coltura e di sussistenza agricola; ulteriore dimostrazione di ciò è che non si può parlare di ammodernamento dell’agricoltura se la maggior parte delle aziende intervistate non utilizza il computer quale mezzo per favorire uno sfruttamento più moderno ed intensivo dell’agricoltura. Sono scarsamente diffusi sistemi di consulenza agricola e commercio elettronico dei prodotti agricoli: le nostre aziende pagano questo ritardo culturale e non reggono il confronto con le più sviluppate aziende spagnole. Un rimedio a ciò sarebbe l’organizzazione di corsi di formazione di tipo professionale in grado di svelare agli occhi dei meno esperti gli arcani di un’agricoltura praticata con metodi informatici di ultima generazione. Un’agricoltura non più passiva, che fa del futuro una risorsa.

Alla scarsa propensione da parte degli imprenditori agricoli a dotare i propri prodotti di certificazione di qualità si potrebbe rimediare inaugurando alcune stagioni di incentivi a favore dei prodotti di qualità DOP e IGT; la scelta di un’agricoltura di qualità avrebbe un effetto benefico nel piazzamento di mercato dei nostri prodotti e di conseguenza aumenterebbero gli investimenti da parte delle aziende agricole, non più minuscole unità eccessivamente frammentate, bensì parti che riconducono ad un tutt’uno organizzato ed efficiente. A tal fine credo che sia essenziale inaugurare una nuova agenda di concertazione tra imprenditori agricoli, consorzi di produttori, e istituzioni pubbliche, proprio perché l’agricoltura salentina non può essere abbandonata a se stessa in questo momento.

Tutto ciò risulterebbe inutile se non si inverte la tendenza a distruggere il patrimonio a favore delle nuove energie rinnovabili come pale eoliche e pannelli fotovoltaici su cui le mafie hanno già puntato i loro investimenti. Tocca a noi e temporeggiare è dannoso e controproducente. Abbracciare il futuro e la modernità o rendere sterile, inutile e facile preda delle ecomafie il nostro fantastico paesaggio. A noi la scelta.

 

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